CONCLUDERE UN CONTRATTO
Nei rapporti con Paesi extra-UE, la competenza è determinata in Italia dalla Convenzione di Lugano del 1988 con la Confederazione Elvetica, la Norvegia e l’Islanda (Convenzione oggetto di revisione del 2007 non ancora entrata in vigore), che prevede i medesimi criteri di competenza ora contenuti nel Regolamento UE sopra menzionato, salve le specificazioni relative ai contratti di compravendita e prestazione di servizi, da una serie di convenzioni bilaterali e dalla già citata Legge 218/95, la quale prevede anch’essa che le parti di un contratto possano scegliere il luogo di risoluzione delle controversie e criteri in caso di mancata scelta.
Oltre al ricorso alla giurisdizione ordinaria, per risolvere le controversie in materia contrattuale è usuale il ricorso all’arbitrato. L’Italia è parte della Convenzione di New York del 1958 in materia di arbitrato, che prevede norme uniformi per i Paesi aderenti, fra i quali la Confederazione Elvetica, sia per quanto concerne la validità delle clausole arbitrali sia per quanto concerne i principi cui parti ed arbitri devono attenersi nell’ambito di un procedimento arbitrale internazionale sia, infine, per quanto concerne il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi arbitrali internazionali. I principi cardine di tale convenzione sono stati integralmente recepiti nel codice di procedura civile italiano e nella maggior parte dei regolamenti arbitrali di enti che amministrano procedure arbitrali, tra i quali la Camera di Commercio Svizzera in Italia.
1.2.- Le norme interne di diritto italiano in materia contrattuale
1.2.1.- Libertà di contenuto e conclusione di un contratto in generale.
Vige nel diritto italiano il principio della libertà di contenuto del contratto, sia pure “attenuata”. Le norme generali sui contratti sono contenute nel codice civile, il quale prevede espressamente, che le parti sono libere di determinare il contenuto del contratto come meglio credono, riferendosi a tipi di contratto disciplinati nel codice (c.d. contratti tipici, as es. la compravendita) ovvero a tipi di contratto non disciplinati nel codice civile (ad es. il leasing, il franchising), purché “meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”. Ancora, le parti non possono derogare a determinate norme c.d. “imperative”. A seconda dei casi, la legge prevede la nullità o l’annullabilità (su istanza di parte) del contratto ovvero l’integrazione della volontà delle parti, con sostituzione automatica delle norme imperative a quelle previste dalle parti in violazione delle stesse.
Elementi essenziali di ciascun contratto secondo il codice civile sono l’accordo, l’oggetto, la causa e la forma, questa solo nei casi in cui è prevista a pena di nullità. S’intende per “causa”, la ragione essenziale o funzione economico-sociale del contratto (as es. nella compravendita, lo scambio di un bene contro un corrispettivo in denaro). La mancanza o l’illiceità di tali elementi è causa di nullità del contratto (vd. par. 1.2.12).
Tutti i tipi di contratto sono considerati conclusi dal codice civile con l’incontro di una proposta e di una conforme accettazione. Pertanto, un contratto s’intende concluso quando la parte proponente ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte, eventualmente nella forma richiesta dal proponente. Su richiesta del proponente o per la natura dell’affare, un contratto può anche ritenersi concluso solo dopo l’esecuzione della prestazione dell’altra parte (c.d. comportamento concludente), quindi indipendentemente da una preventiva risposta.
Nel caso in cui il consenso di una delle parti sia viziato da errore, violenza o dolo (quest’ultimo inteso come “raggiro”), il contratto è annullabile (vd. par. 1.2.13).