Ottobre - Dicembre 2025 n. 04 - Anno 116 Italofonia sotto scacco? Pag 89-96 Il Mondo in Camera
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Giangi Cretti Direttore gcretti@ccis.ch La Rivista Editoriale sempre ad avviso di Cassis, che la Conferenza dell’Italofonia rappresenti un passo concreto verso una rete globale di scambio e tutela della lingua italiana, evidenziando quanto l’Italia e la Svizzera possano collaborare nella valorizzazione della nostra lingua, considerando l’italianità come un ponte tra culture, economie e tradizioni europee. Che la Conferenza sia sfociata nella creazione della Comunità dell’Italofonia, non fa altro che accrescere il valore di tutte le affermazioni che si sono rincorse in quell’occasione. Perché, così negli intenti esplicitati, la Comunità si pone un obiettivo di fondo: rispondere alla sempre crescente domanda di Italia che c'è nel mondo. Dalla musica al design, dall'arte alla letteratura, dalla scienza all'industria, dal turismo alla moda... È una domanda che si declina in tante lingue, ma che riassume la sua essenza nella lingua italiana. Insensato dubitare sulla buona fede e degli altrettanto buoni propositi di coloro che autorevolmente hanno sottoscritto la dichiarazione Istitutiva della Comunità dell’italofonia, assegnando alla lingua italiana il rango privilegiato di "lingua di pace, dialogo, creatività e scambio", evidenziandone il ruolo storico come "lingua di bellezza, cultura e scienza", attestandone il contributo inestimabile al patrimonio mondiale. Una lingua che, coniugando tradizione e innovazione, si fa portavoce "del saper fare d'eccellenza legato alle radici e di una contemporaneità proiettata verso il futuro", perché “la comunità dell'italofonia sarà un punto permanente di incontro". Impossibile dissociarsi, talmente coinvolgente e avvolgente è la sintonia che promana da questa sinfonia di melodiose intenzioni. Così sigillate da Meloni: “oggi firmiamo una dichiarazione comune fatta di impegni concreti e iniziative operative, gettiamo le fondamenta di una nuova comunità da costruire e da alimentare insieme. Lo faremo potendo contare prima di tutto sull'energia, la passione, il senso di appartenenza degli italiani all'estero, che da sempre rappresentano gli ambasciatori nel mondo dell'amore per la nostra patria, la nostra lingua, la nostra cultura. Perché la lingua italiana è un film, in cui ogni parola è una scena e ogni frase un capolavoro”. Musica per le mie orecchie e mi auguro per quelle di molti altri. Se tutto ciò è vero, perché vere sono le parole che hanno dato forma ad un rosario di buone, anzi ottime, intenzioni, il titolo della nostra copertina può apparire un azzardo. Di prim’acchito, persino un paradosso. In realtà, più che un pericolo incipiente esprime una preoccupazione. Che tutto questo diluvio di travolgente entusiasmo nasconda l’impalpabilità di azioni concrete. Non ho elementi certi per contestare, va da sé, molto sommessamente, l’affermazione che "fuori dai confini nazionali, l'italiano sia parlato da oltre 80 milioni di persone e si confermi una delle lingue più studiate al mondo grazie al prezioso lavoro di promozione che portano avanti gli Istituti di cultura e le scuole all'estero". Fatico però a bypassare il dubbio, alimentato dall’osservazione empirica sul campo: non sul lavoro degli istituti e delle scuole, quanto sull’affermazione in sé, che ampiamente si giustifica solamente in quanto figlia di una nobile aspirazione o dell’ottimismo della volontà, propedeutico a puntellare un ambizioso obiettivo. Tant’è, ma se penso all’erosione – di risorse, ma non solo - che all’estero, Circolare dopo Circolare, ormai da decenni subiscono quelli che siamo soliti chiamare i corsi di lingua e cultura, mi costringo a sperare che la Conferenza altro non sia che un punto di svolta. Stessa speranza e stesso sconforto di fondo li provo se considero l’offerta, sulla carta resa obbligatoria da un’ordinanza federale, dell’insegnamento dell’italiano in Svizzera nella scuola pubblica nei Cantoni a nord del Gottardo, dove non è lingua madre. Irritazione invece è ciò che prende corpo verificando la sudditanza manifesta nei confronti dell’inglese - la cui ostentazione pare sintomo di modernità ed efficienza - in particolare fra gli italoparlanti, in quei contesti fuori dai confini nazionali, ma non solo, in cui l’italofonia, anziché un valore aggiunto, perché a connotazione identitaria positiva, sembra vissuta come una penalizzazione. Non bastassero queste pennellate appena accennate di vissuto ordinario, a cui in fondo siamo abituati perché colorano le nostre stanze di vita quotidiana, all’orizzonte si profila minaccioso, e qui la preoccupazione lascia il posto al pericolo, l’esito di una votazione che il prossimo 8 marzo vedrà i cittadini svizzeri esprimersi sulla riduzione del canone radiotelevisivo. Una questione di portafoglio, si dirà. E come tale non accende nessun amletico dilemma. Eppure, l’eventuale accettazione di quella riduzione potrebbe avere serie conseguenze: anche per l’italofonia. In Svizzera naturalmente. E malconcia ne uscirebbe anche l’italianità. In un articolo nelle pagine 27-28-29, cerchiamo di spiegare perché. Il messaggio è forte e chiaro. Merita, convintamente, di essere condiviso o quanto meno rilanciato: la promozione della lingua e della cultura italiana all'estero è un investimento strategico non meno importante della promozione della nostra offerta economica o industriale. Parole impegnative. Che presumono una coraggiosa assunzione di responsabilità, soprattutto perché pronunciate dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, intervenendo, in videomessaggio, alla prima Conferenza sull'Italofonia, svoltasi a Roma lo scorso 18 novembre. Un appuntamento fortemente voluto dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che, aprendone i lavori, ha detto che “oggi teniamo a battesimo la nascita di una comunità che è internazionale, composta da tutti coloro che parlano, che amano, che conoscono e che vogliono studiare la lingua italiana”. Mi lego felicemente a questa schiera. Anche per tale ragione, in linea di principio, mi riconosco con espresso piacere, nelle parole di Andrea Riccardi, presidente della Società Dante Alighieri, quando afferma: “la diffusione dell’italiano va oltre i confini geografici della penisola, e ha una profondità che attira anche coloro che non hanno legami storici con l’Italia: si tratta piuttosto di un tessuto di persone che scelgono la nostra lingua perché vi si trovano a loro agio, come in uno spazio di bellezza e di creatività. Se è vero che l’italiano ha alle spalle radici forti, belle e meditate, sarebbe tuttavia un errore circoscriverlo al passato, e considerarlo solo un museo da ammirare. Siamo stati uniti non da un burocrate, ma da uno scrittore come Alessandro Manzoni, che ha fatto del suo capolavoro la Bibbia del nuovo italiano”. Per esperienza di vita, e sempre in linea di principio, mi confortano anche le dichiarazioni del Consigliere federale Ignazio Cassis, presente alla Conferenza, secondo il quale, la lingua italiana non è solo patrimonio culturale, ma anche elemento identitario e politico per l’Europa. Nel caso specifico, per la Svizzera, l’italiano è un pilastro della sua struttura statale, capace di rafforzare legami culturali e identitari sia a livello nazionale sia internazionale. Ne deriva,
SOMMARIO 33 1 Editoriale 5 Italiche In calo in Italia il numero degli sportelli bancari 8 Elvetiche Rallentamento e resilienza per l’economia svizzera 11 In Svizzera, nel 2024, il salario mediano ammontava a 7024 franchi lordi 14 Europee La nuova strategia americana per l’Europa 17 Geopolitiche La pace attraverso la forza nella politica estera di Trump 2025: panoramica mondiale e conseguenze 20 Novità in Gazzetta Ufficiale 23 Angolo Legale Investimenti stranieri e sicurezza nazionale: come lo Stato tutela le produzioni strategiche 27 Primo Piano Perché 200 franchi non bastano In Copertina Italofonia sotto scacco? 42 Conferenza Italofonia Meloni: "La promozione dell'italiano all'estero è un investimento strategico" 30 Presentata a Roma la XX edizione del Rapporto Italiani nel Mondo 20 anni di mobilità italiana 36 Elefante invisibile A proposito di narcisismo… 40 Pubblicato il nuovo rapporto Io sono cultura Da cultura e creatività un valore aggiunto di 302 miliardi 44 Se l’italiano diventa la lingua della pace 46 Le parole svizzere dell’anno 2025 48 La lingua batte dove… Che confusione…sarà perché ti amo. 51 Tesori dei Faraoni I capolavori del Museo Egizio del Cairo alle Scuderie del Quirinale di Roma fino al 3 maggio 2026 58 Carl Gustav Jung nel centocinquantenario della nascita e i “paesaggi dell’anima” al Landesmuseum 61 Visioni del Tempo La materia del tempo 65 Sophia Loren, diva e donna in mostra a Chiasso 66 A Palazzo Ducale di Genova fino al 6 aprile 2026 Paolo Di Paolo: fotografie ritrovate ccis.ch/la-rivista Presentato a Villa Lubin il Rapporto CNEL 2025 L’attrattività dell’Italia per i giovani dei paesi avanzati La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 2
Grana Padano DOP e Prosecco DOC - il binomio di successo 80 Editore - Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Direttore - Giangi CRETTI Art Director - Marco DE STEFANO Collaboratori C. BIANCHI PORRO, V. CESARI LUSSO, M. CIPOLLONE, D. COSENTINO, L. D’ALESSANDRO, R. DE ROSA, N.FIGUNDIO, G.SORGE, M. FORMENTI, P. FUSO, T. GAUDIMONTE, T. GATANI, R. LETTIERI, F.MACRÌ, P.MEINERI, V. PANSA, N.TANZI, L.TERLIZZI Redazione Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Dolderstrasse 62 - 8032 Zurigo Tel. +41(0)44 289 23 23 www.ccis.ch /la-rivista larivista@ccis.ch Pubblicità Marco DE STEFANO Dolderstrasse 62 - 8032 Zurigo Tel. 0041(0)44 2892319 E-mail: mdestefano@ccis.ch Abbonamento annuo Chf. 40.- Estero: 50 euro Gratuito per i soci CCIS Le opinioni espresse negli articoli non impegnano la CCIS. La riproduzione degli articoli è consentita con la citazione della fonte. Periodico iscritto all’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana). Aderente alla FUSIE (Federazione Unitaria Stampa Italiana all’Estero) Appare 4 volte l’anno. Stampa e confezione Nastro & Nastro srl 21010 Germignaga (Va) - Italy Tel. +39 0332 531463 www.nastroenastro.it 70 Tele-visioni Una soluzione semplice a un sistema complesso: il prezzo nascosto del taglio del canone 72 Note Italiane 74 New Trolls I pionieri del prog rock 76 Collio Evolution 53 aziende, oltre 200 vini e un focus sul Friulano 82 La Dieta Rivista Dieta personalizzata: tra genetica, stile di vita e microbioma Basta mode: ecco cosa conta davvero 85 Italian Cheese Awards ’25 Questi i premiati 89 Il mondo in Camera • Ccis & Friends - Zurigo capitale del networking Made in Italy • Dolce Vita Night a Lugano • Swiss Italian Startup Award 2025: seconda edizione da record • L’Hi-tech Made in Abruzzo a Zurigo: • Agroalimentare, enogastronomia e ben fatto italiano • Liguria Space Tech Meets Switzerland • I prossimi appuntamenti La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 3
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La Rivista Italiche Le banche con la maggior diffusione in Italia, ossia col maggior numero di sportelli, sono il colosso Intesa Sanpaolo, con 2.472 presidi, le banche del gruppo Iccrea, con 2.449 sportelli, Unicredit, con 2.245, e Bper con 2.170. Lo spiega sui dati della Banca d’Italia l’Osservatorio sulla desertificazione bancaria, che mostra come gli sportelli siano diminuiti di 268 unità nei primi nove mesi dell’anno, scendendo in totale da 19.656 a 19.388. In calo in Italia il numero degli sportelli bancari di Corrado Bianchi Porro Come sopra accennavamo, un altro motivo del calo degli sportelli bancari è legato alla conformazione del suolo, con numerosi piccoli paesi spesso arroccati sulle montagne che restano tagliati fuori dalle più importanti vie di comunicazione e che soffrono di un calo della popolazione vuoi per la diminuzione delle nascite, vuoi per l’avvicinarsi dei giovani ai grandi centri urbani dove è più facile trovare servizi e occasioni di lavoro. Di per sé gli istituti bancari, specie quello locali, sono legati all’espansione nel territorio e nei comuni vicini e prossimi alla sede principale, prova ne sia il fatto che il Banco di Sardegna, ad Concentrazione e fusione degli istituti, ma non solo Da anni si assiste a questo fenomeno di diminuzione del numero degli sportelli bancari, dovuto in parte alla concentrazione e fusione degli istituti presenti e in parte ai sussidi che offre oggi la tecnologia e la conoscenza delle nuove possibilità digitali. In effetti, la quota della popolazione che utilizza l’internet banking è oggi in Italia del 55%, un indice da confrontare con il 36% della Spagna e il 48% della Francia. Anche in questo caso molto dipende dalla situazione della popolazione, come dalla conformazione del territorio. Il record italiano della diffusione dell’internet banking varia dal 67% della provincia di Trento o dal 66% della Lombardia, 65% del Veneto e 64% dell’Emilia Romagna (60% in Lazio e Toscana) fino al 45% della Puglia, 36% della Sicilia e al 33% di Calabria e Campania. In questo caso, il sud paga non solo per il livello di formazione meno specializzato della popolazione locale, ma anche perché non sono pochi i neolaureati che emigrano al nord e quindi depauperano il tessuto nativo della gente, salvo poi ritornarvi per le ferie o a passarvi l’età della pensione per il miglior e più sano equilibrio ambientale rispetto alle aree industrializzate. Una capillarità diffusa e ancora soggetta a vaste concentrazioni La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 5
esempio, sia quello maggiormente rappresentato nei comuni della sua regione, come per altro è accaduto a suo tempo per La Banca Popolare di Milano e la Banca Popolare di Sondrio che sono ben rappresentati nelle rispettive aree di influenza, superando in certe zone la presenza dei “colossi” nazionali. Sempre che il tessuto quadro intorno non resti frammentato ed emarginato progressivamente. L’esempio tipico, in questo specifico caso, viene proprio dal Piemonte, una regione che ha pilotato la storia della Penisola, ma dove le località senza alcun sportello bancario erano a fine settembre addirittura il 64,9%, cui si aggiunge il 18,4% dei comuni piemontesi che di sportello ne hanno solamente uno. Ma l’evoluzione è tutt’ora in atto e foriera di nuove importanti scosse. Ulteriori chiusure all’orizzonte Grazie, infatti, all’ipotizzata integrazione con la Popolare di Sondrio, il gruppo Bper scala la classifica in Lombardia fino a diventarne la prima realtà sul territorio con 673 sportelli, pari al 17,9% del totale, davanti a Banco Bpm con 523 (13,9%), Intesa Sanpaolo e Iccrea, entrambe con 501 (13,4%). Nonostante l’autorità di sorveglianza abbia prescritto a Bper unicamente la chiusura di 6 sportelli per perfezionare l’acquisizione, il gruppo ha annunciato l’accorpamento di 90 sportelli (spesso doppioni) localizzati nelle altre regioni del Centro Nord. Altre chiusure si verificherebbero poi qualora prendesse corpo un’aggregazione tra Crédit Agricole Italia e Banco Bpm, che darebbe vita al terzo gruppo italiano per rete di sportelli (2.425). In questo caso non è difficile ipotizzare una nuova pressione di altre chiusure in ragione delle sovrapposizioni, in parte imposte a garanzia della concorrenza, ma in parte motivate dall’esigenza di realizzare sinergie di costi. La regione più colpita sarebbe anche in questo caso la Lombardia: l’integrazione tra Crédit Agricole Italia e Banco Bpm farebbe crescere il numero degli sportelli a 765, pari al 20,4% del totale, dando vita alla prima rete su scala regionale. Subito dopo la Liguria con 129 (23,4%) e l’Emilia Romagna con 372 (17,9%). Tra i grandi centri, Milano con 248 (24,3%) e Genova con 59 (20,5%) sono ai vertici. Da segnalare anche la situazione di Parma con 78 (39%) dove è la capogruppo (sempre che il baricentro non si sposti a Milano) e Piacenza con 47 (31,8%), mentre la città che registra la quota più elevata di sportelli integrabili Crédit Agricole Italia-Banco Bpm è La Spezia con 43 (50,6%). Fatto sta che nei primi nove mesi dell’anno sono già stati chiusi 268 presidi. Basilicata, Marche e Veneto le regioni più colpite nel 2024. Sale così a 3.419 il numero dei Comuni privi di filiale che rappresentano il 43,3% del totale. E con le pressioni per le fusioni, il ritmo delle chiusure è destinato ad aumentare ancora. Non è solo un problema delle aree interne Dopo l’acquisizione di Popolare di Sondrio, Bper ha annunciato l’accorpamento descritto. Ma il conto potrebbe essere molto più salato se si concretizzasse l’integrazione tra le reti di Banco Bpm e Crédit Agricole Italia. Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna rischiano i tagli più pesanti. Secondo il segretario generale della First-Cisl, Riccardo Colombani da un’eventuale fusione auspicata dalla multinazionale francese, è facile prevedere una nuova ondata di chiusure, con gravi rischi per occupazione, famiglie e imprese. I dati sulle grandi città dimostrano che la desertificazione bancaria non è solo un problema delle aree interne. Aumenta così la raccolta gestita, ma ristagna il credito. La scelta dell’investimento di lungo periodo del colosso francese in Banco Bpm è comprensibile, considerato il fortissimo La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 6
La Rivista Italiche radicamento nelle aree più ricche del Paese, al quale si è associato di recente il proficuo controllo su Anima Sgr. D’altra parte, il business del risparmio è storicamente presidiato da Crédit Agricole con Amundi, che è nella top ten mondiale dell’asset management. Le variabili demografiche Per una programmazione strategica, è comunque utile osservare come varieranno le principali variabili demografiche (nascite, immigrazioni ed emigrazioni) nelle province italiane, secondo lo scenario di Istat12. In particolare, considerando il periodo tra il 2024 e il 2035, le prime province per aumento in termini percentuali delle nascite saranno Trento (+27,1%), Aosta (+25,4%), Mantova (+24,9%), Pavia (+24,7%) e Ferrara (+23%). Considerando la variazione in termini assoluti, le prime province per aumento saranno Milano (+3.200), Roma (+3.200), Torino (+1.700), Brescia (+1.600) e Bergamo (+1.500). Sempre con riguardo alle nascite, le prime cinque province per diminuzione in termini percentuali saranno Catanzaro (-19,6%), Reggio Calabria (-19,5%), Vibo Valentia (-18,5%), Potenza (-17,3%) e Cosenza (-17,0%). In termini assoluti, le più ampie variazioni negative sono attese nelle province di Napoli (-2.300), Salerno (-780), Cosenza (-750), Palermo (-740) e Reggio Calabria (-730). Di fatto, emergono dinamiche opposte tra il CentroNord del Paese e il Sud, con Campania e Calabria che registrano valori particolarmente critici. Per quanto riguarda invece il Pil, emerge come le province a più alta crescita nell’ultimo decennio sono state principalmente quelle del Centro-Nord Italia. In particolare, le prime province per maggiore crescita in termini percentuali sono state Siracusa (+4,8%), Bolzano (+3,3%), Milano (+3,3%), Modena (+3,1%) e Brescia (+3,1%). Al contrario, le province per minore crescita in termini percentuali sono state Caltanissetta (+0,9%), Pescara (+0,9%), Benevento (+1,0%), Catanzaro (+1,2%), Fermo (+1,2%). Penalizzate soprattutto le PMI Qui veniamo a un altro punto dolente della desertificazione bancaria. Il fatto di chiudere gli sportelli può far comodo o meno al privato che alla sera a casa sua, si fa i suoi conti, va al bancomat alla domenica e non perde tempo prezioso. Di certo, tale fenomeno è controproducente per le piccole e medie imprese esistenti nel territorio non più aiutate dagli istituti calamitati dai grossi agglomerati e, se proprio, soggetti alla monocultura di un solo istituto bancario vicino al proprio posto di lavoro. Sono dunque le PMI le vittime di questa desertificazione. E i numeri – a rifletterci bene – non sono di piccolo cabotaggio. Il 28% dei comuni italiani non aveva sportelli bancari dal 2015. Un altro 15% dei comuni li ha persi dal 2015 al 2024; il 24% dei Comuni al momento ne ha uno solo a disposizione e il 32% ha invece una seconda scelta per farsi consigliare. Naturalmente, prendendo in esame la popolazione, le cifre sono diverse, perché Milano è un solo comune, ma ha tanti sportelli da farne collezione. Ebbene, in Italia il 51% della popolazione ha tale libertà, il 23% si deve accontentare di un solo istituto nel territorio e il 26% non ha altra alternativa che l’internet banking o prendere i mezzi per andare ad una banca preferita. Per le imprese, avere una banca è “quasi” un diritto e invece 289 mila PMI (122.746 già orfane dal 2015, cui se ne sono aggiunte altre 166.192 dal 2015 ad oggi) non hanno questa possibilità. Mentre altre 433.745 PMI “sperano” che l’unico sportello rimasto nel loro perimetro non prenda prossimamente il volo. La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 7
Le due facce della medaglia: il peso della geopolitica e dei dazi USA da una parte, la capacità di tenere le posizioni e di agire nel nuovo quadro dall’altra Rallentamento e resilienza per l’economia svizzera di Lino Terlizzi internazionali dello sport), gli esperti indicano questa crescita: dopo l’1,2% del 2024, stimano un 1,4% per il 2025, un 1,1% per il 2026, un 1,7% per il 2027. Rispetto alle previsioni dell’ottobre scorso, ci sono stati dunque leggeri miglioramenti. La riduzione dei dazi americani contro la Svizzera dal 39% al 15% ha contribuito in modo non secondario al miglioramento delle previsioni. Lo stesso dicasi per la tenuta dell’economia mondiale nel suo complesso, che, come detto, ha rallentato ma sin qui non è caduta in territorio negativo. Naturalmente i rischi non mancano e gli stessi esperti indicano quelli che per loro sono i principali: i rischi geopolitici, soprattutto quelli legati ai conflitti armati in Ucraina e in Medio Oriente; l’imprevedibilità delle mosse protezionistiche dell’Amministrazione USA e dunque il pericolo di nuove tensioni nei commerci, che coinvolgano anche l’Europa; il rischio di correzioni sui mercati finanziari, dopo una lunga fase di andamento positivo; i pericoli associati all’indebitamento mondiale, in particolare a quello pubblico; i rischi di bilancio per una parte degli istituti finanziari e per alcuni mercati immobiliari. È difficile, aggiungiamo noi, che la situazione peggiori lungo tutta la linea, che insomma tutti questi rischi si concretizzino insieme. Ma basterebbe l’inasprirsi di alRallentamento economico e resilienza convivranno probabilmente anche nel 2026. Due facce della stessa medaglia, sia nel mondo sia in Svizzera. La Confederazione è d’altronde esperta in tema di resilienza, avendo ormai da tempo dimostrato capacità di tenuta, con una crescita economica che raramente raggiunge punte molto elevate ma che al tempo stesso quasi mai registra cadute pesanti. La media di lungo periodo indica una crescita elvetica con pochi acuti, ma solida. Le tensioni geopolitiche, le guerre, i dazi americani sono tra le cause principali del rallentamento economico internazionale, che non dovrebbe trasformarsi in recessione ma che comunque complica il quadro. La resilienza di molte economie, che con lo sviluppo del libero scambio hanno evidentemente accumulato risorse nei decenni passati, limita i danni. La crescita A metà dicembre, mentre scriviamo, la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha reso note le valutazioni del gruppo di esperti della Confederazione incaricato delle previsioni congiunturali per la Svizzera. Parlando di Prodotto interno lordo (PIL) al netto di eventi sportivi (la Svizzera è sede di grandi organizzazioni La Rivista Elvetiche La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 8
cuni di questi capitoli per far peggiorare la situazione. Tuttavia, bisogna registrare che sino a metà dicembre 2025 le tensioni geopolitiche e le incertezze economiche hanno frenato l’economia mondiale ma non ne hanno provocato la caduta. La tenuta Sin qui le previsioni. È interessante peraltro anche vedere alcuni dati a consuntivo, in particolare ciò che è successo nel terzo trimestre del 2025. Secondo la SECO, il PIL svizzero al netto degli eventi sportivi tra luglio e settembre è sceso dello 0,5% rispetto ai tre mesi precedenti; nel primo trimestre era cresciuto dello 0,8%, nel secondo dello 0,2%. La variazione negativa su base trimestrale conferma quanto sia complicato il quadro internazionale. Però, pur prendendo atto dell’oscillazione trimestrale, occorre vedere anche la pagina accanto. È sempre utile, infatti, osservare anche l’andamento del PIL su base annua, cioè rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; in questo modo, si può meglio avere un’idea della tendenza nella fase. Nel terzo trimestre del 2025 il PIL svizzero è cresciuto dello 0,8% in rapporto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nel primo e nel secondo trimestre era cresciuto di più – rispettivamente del 2,5% e dell’1,5% – ma occorre registrare che su base annua il PIL elvetico è comunque rimasto in territorio positivo, e neanche di pochissimo, risultato questo da non buttar via considerando il contesto molto difficile. Restando sui dati del terzo trimestre del 2025, è interessante anche fare un raffronto con alcuni rilevanti Paesi, vicini alla Svizzera geograficamente e/o economicamente. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), nel terzo trimestre su base annua la Germania è cresciuta dello 0,3%, l’Italia dello 0,4%, la Francia dello 0,9%, il Regno Unito dell’1,3%. Occorre aggiungere che nessuno dei singoli Paesi citati, che rappresentano le quattro maggiori economie europee, ha raggiunto nei primi due trimestri 2025 una crescita come quella indicata dalla SECO per la Svizzera; inoltre, le previsioni dell’OCSE dell’inizio di dicembre per i Paesi citati mostrano una crescita per l’intero 2025 inferiore a quella stimata per la Svizzera, ad eccezione del Regno Unito che è allo stesso livello. Nel complesso, la Confederazione si pone quindi in una buona posizione intermedia, migliore di quella di tre delle quattro economie principali in Europa. Un’obiezione che capita di sentire è che si tratta di una ben una magra consolazione essere un po’ sopra tassi di crescita che restano bassi. Bisogna dire che non è esattamente così. La Svizzera ha da tempo un Prodotto interno lordo pro capite che è tra i più alti al mondo e ciò va considerato, non si può infatti pensare di poter andare sempre e comunque più veloce di tutti gli altri, dopo aver già fatto un lungo tratto di strada e trovandosi già da molti anni a livelli elevati. Si può aggiungere che l’economia elvetica è in ogni caso riuscita a limitare meglio di molte altre la caduta del 2020 dovuta alla pandemia, rimbalzando poi adeguatamente e mantenendo in seguito una velocità media, secondo i parametri delle economie avanzate. Inflazione e lavoro Vale la pena di ricordare che, in tutto questo, la Svizzera rimane uno dei Paesi a più bassa inflazione. Con un rincaro poco sopra lo zero per cento, la Confederazione è molto ben piazzata. Le previsioni di dicembre degli esperti della Confederazione indicaA metà dicembre, la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ha reso note le valutazioni del gruppo di esperti della Confederazione incaricato delle previsioni congiunturali per la Svizzera La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 9
no che, dopo l’1,1% del 2024 e lo 0,2% del 2025, la media annua del rincaro elvetico dovrebbe rimanere allo 0,2% nel 2026, per poi salire leggermente, allo 0,5%, nel 2027. La diffusa narrazione secondo cui per avere una buona crescita economica bisogna avere anche una inflazione non bassa ha mostrato più volte i suoi limiti, specie se rapportata non al breve ma al lungo periodo. Una crescita che sia solida nel tempo, non volatile, ha tra i suoi fattori di sostegno anche un’inflazione bassa, che limiti l’erosione del potere d’acquisto, supportando i consumi e dando maggiori certezze per gli investimenti. Anche a questo fattore va dato il giusto spazio nella valutazione complessiva. Quanto alla disoccupazione, nel 2026 ci sarà probabilmente un seppur contenuto aumento, determinato in buona parte dal rallentamento economico internazionale e dai riflessi di questo sull’economia svizzera. Sul terreno dell’occupazione, come su quello più generale della crescita, bisognerà vedere anche se e quali conseguenze ci saranno con gli investimenti negli USA imposti da Trump nel quadro dell’intesa sui dazi. Occorrerà osservare quante risorse di imprese elvetiche saranno concretamente destinate alla presenza diretta negli Stati Uniti e se, nel caso, quelle risorse toglieranno qualcosa agli investimenti in Svizzera oppure no. In ogni caso, le previsioni di metà dicembre 2025 degli esperti della Confederazione indicano, sulla base degli elementi disponibili al momento, che la media nazionale di disoccupazione nel 2026 salirà al 3,1%, dopo il 2,8% del 2025 e il 2,4% del 2024; nel 2027, poi, dovrebbe esserci una discesa al 2,9%. Gli incrementi della disoccupazione non fanno mai piacere, è chiaro, tuttavia, il legittimo giudizio negativo sul maggior numero di disoccupati va inquadrato in una valutazione su un mercato elvetico che resta tra quelli a più basso tasso di senzalavoro. Il franco Quando si tratta di economia svizzera, è inevitabile e giusto dedicare spazio al franco. Gli esperti della Confederazione nella loro analisi di metà dicembre 2025 ricordano che la moneta elvetica continua ad attestarsi a livelli elevati e che, se diversi rischi geopolitici ed economici dovessero concretizzarsi, lo stesso franco registrerebbe un’ulteriore spinta al rialzo. In altre parole, la valuta svizzera difficilmente perderà terreno in modo significativo e, semmai, potrebbe acquisirne altro nel caso le tensioni geopolitiche e le incertezze economiche a livello internazionale crescessero. Una parte non secondaria di investitori, sia svizzeri sia esteri, guarda al franco come a un porto sicuro. A sostenere la moneta elvetica sono diversi fattori, tra i quali l’affidabilità del sistema Paese, i suoi conti pubblici in ordine, il perdurante avanzo commerciale svizzero (export nettamente superiore all’import), la resilienza complessiva dell’economia rossocrociata. Per il franco, dunque, la parola debolezza sembra esclusa, la sua partita continua a giocarsi tra l’essere forte o molto forte. Dal punto di vista dell’export elvetico, sarebbe meglio un franco non troppo forte, perché oltre certi livelli le merci svizzere diventano molto care per chi le acquista dall’estero. Per questo, anche, la Banca nazionale svizzera (BNS) da molto tempo cerca di trattenere il franco. La BNS è riuscita solo in parte a frenare la valuta elvetica, soprattutto ha diluito negli anni un rialzo che comunque alla lunga c’è stato. Molte imprese svizzere esportatrici sono peraltro riuscite ad adattarsi, puntando sulla qualità e diversificando prodotti e mercati. D’altronde bisogna considerare anche i vantaggi dati dal franco forte. Per la Svizzera l’import è meno caro, proprio grazie alla forza della sua moneta. Ciò contribuisce in modo rilevante al fatto che la Confederazione sia tra i Paesi a più bassa inflazione. Inoltre, la perdurante forza del franco gioca a favore della piazza finanziaria elvetica, accrescendone per la sua parte l’attrattività. La stessa Borsa svizzera si avvale dell’effetto valutario. Molte azioni elvetiche hanno comunque una loro validità, ma in una serie di casi aiuta il fatto che il valore sia espresso in franchi. Per una parte degli investitori è interessante comprare azioni e franchi allo stesso tempo. Per il franco la parola debolezza sembra esclusa, la sua partita continua a giocarsi tra l’essere forte o molto forte La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 10
In Svizzera, nel 2024, il salario mediano ammontava a 7024 franchi lordi Per l’economia nel suo complesso (settori privato e pubblico insieme), nel 2024 il salario mediano è salito a 7024 franchi lordi al mese per un impiego a tempo pieno (100%). Un dipendente su dieci percepiva un salario basso. Le differenze salariali tra donne e uomini continuano a diminuire progressivamente. Quasi un dipendente su tre (32,6%) ha ricevuto bonus per un valore medio annuo di 11 967 franchi. Tra il 2008 e il 2024 la piramide complessiva dei salari è rimasta relativamente stabile. Questo è quanto emerge dai primi risultati della rilevazione svizzera della struttura dei salari per il 2024 realizzata dall’Ufficio federale di statistica (UST). Considerando i settori pubblico e privato nel loro insieme, nel 2024 il salario mediano per un posto a tempo pieno ammontava a 7024 franchi lordi al mese (2022: 6788 franchi). Il 10% dei dipendenti meno remunerati ha guadagnato meno di 4635 franchi al mese, mentre il 10% meglio pagato ha percepito un salario superio-re a 12 526 franchi. Piramide salariale generale Tra il 2008 e il 2024 le differenze salariali tra il vertice e la base della piramide dei salari sono rimaste stabili per l’economia nel suo complesso. Nello stesso periodo si nota che il 10% delle persone pagate meno bene hanno registrato l’aumento di salario maggiore (+18,1%), mentre i salari di quelle pagate meglio sono aumentati del 16,8%. Con un aumento salariale del 15,4% i salari che rientrano nella «classe media» hanno segnato l’aumento minore. Differenze salariali rilevanti tra i diversi rami economici Nel 2024, nei livelli salariali sono state osservate notevoli disparità a seconda dell’attività economica esercitata. Infatti, i livelli di remunerazione si sono rivelati chiaramente superiori al salario mediano (7024 fr. lordi al mese) nei rami a forte valore aggiunto, come la ricerca e lo sviluppo (9139 fr.), l’industria farmaceutica (10’159 fr.), il settore bancario (10’723 fr.) o l’industria del tabacco (14’304 fr.). A metà della piramide dei salari si sono posizionati rami come la metallurgia (6279 fr.), le costruzioni (6616 fr.), il trasporto aereo (7134 fr.), il commercio all’ingrosso (7478 fr.) e l’industria meccanica (7632 fr.). Alla base della piramide salariale troviamo il commercio al dettaglio (5214 fr.), i servizi di alloggio (4715 fr.), la ristorazione (4744 fr) e i servizi personali (4496 fr.). A parità di formazione, la posizione gerarchica determina la retribuzione In generale, la gerarchia dei livelli salariali è strutturata in base alle diverse categorie di formazione. Le persone in possesso di un titolo universitario che lavorano a tempo pieno hanno guadagnato 10’533 franchi lordi al mese, contro i 9288 franchi percepiti dalle persone diplomate presso scuole universitarie professionali e i 6390 franchi ricevuti dalle persone titolari di un AFC. A parità di formazione, sono invece il tipo di funzione e di attività svolta all’interno dell’impresa a determinare l’importo della remunerazione La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 11
effettiva. Infatti, una persona diplomata all’università che occupava un posto ad alto livello di responsabilità guadagnava 14’409 franchi, contro gli 8645 franchi percepiti per un posto senza responsabilità. Analogamente, una persona titolare di un AFC che occupa un posto ad alto livello di responsabilità ha guadagnato 8252 franchi contro i 6162 franchi percepiti per un posto senza responsabilità. I salari variano notevolmente a seconda del permesso di soggiorno Per i posti che richiedono elevate responsabilità, i salari versati alla manodopera straniera sono generalmente più elevati rispetto a quelli percepiti dal personale dipendente di nazionalità svizzera. Ad esempio, i frontalieri (permesso G) che occupano posizioni ad alto livello di responsabilità hanno guadagnato 11’207 franchi, quelli con permesso di domicilio (permesso C) 11’966 franchi e quelli con permesso di dimora (permesso B) 13’090 franchi, rispetto ai 10’989 franchi percepiti dal personale dipendente svizzero. Se consideriamo i posti di lavoro che non comportano responsabilità gerarchiche, la situazione si capovolge. Con 6765 franchi, la remunerazione del personale dipendente di nazionalità svizzera senza funzione di quadro si è rivelata superiore ai salari versati alla manodopera straniera, ovvero 5421 franchi per le persone titolari di un permesso B, 6034 franchi per quelle con permesso C e 5950 franchi per quelle con permesso G. Il divario salariale tra i sessi si sta gradualmente riducendo Nell’economia nel suo complesso, il divario salariale globale (valore mediano) tra le donne e gli uomini diminuisce regolarmente: nel 2024 si attestava all’8,4% contro il 9,5% del 2022, il 10,8% del 2020 e l’11,5% del 2018. Questa differenza di remunerazione tra i due sessi è da ricondurre in parte a profili diversi in termini di caratteristiche della persona (come p. es. la sua formazione o la sua età) o dei posti occupati (in funzione del livello di responsabilità e dell’attività economica esercitata). Queste disparità salariali riflettono le diverse modalità di inserimento professionale del personale di sesso femminile e di quello di sesso maschile nel mercato del lavoro. Si osserva che, più alta è la posizione gerarchica occupata, più è marcato il divario salariale tra i generi, sebbene questo si stia regolarmente riducendo. In effetti, le donne che nel 2024 ricoprivano incarichi con elevate responsabilità hanno guadagnato 10’077 franchi lordi, mentre la remunerazione dei loro colleghi maschi che occupavano posti analoghi era di 11’715 franchi, il che rappresenta una differenza del 14,0% (contro il 14,7% nel 2022, il 16,8% nel 2020 e il 18,6% nel 2018). Alla base della piramide, nel 2024 il divario salariale a sfavore del personale femminile che occupava posti senza funzione di quadro è stato meno marcato, poiché si attestava al 5,2%, contro il 5,7% nel 2022, il 6,9% nel 2020 e il 7,6% nel 2018. Come negli anni precedenti, la distribuzione delle donne e degli uomini nelle diverse classi salariali è rimasta molto diseguale. Nella parte bassa della piramide salariale, cioè con uno stipendio a tempo pieno inferiore a 4500 franchi lordi, il 62,0% dei dipendenti era costituito da donne e il 38,0% da uomini. Al contrario, al vertice della piramide, per salari superiori a 16’000 franchi al mese, il 74,9% erano uomini e il 25,1% donne. Nel 2024, nei livelli salariali sono state osservate notevoli disparità a seconda dell’attività economica esercitata. I livelli di remunerazione si sono rivelati chiaramente superiori nei rami a forte valore aggiunto, come la ricerca e lo sviluppo (9139 fr.), l’industria farmaceutica (10’159 fr.), il settore bancario (10’723 fr.) o l’industria del tabacco (14’304 fr.) La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 12
Rimasta invariata la quota di posti a salario basso Nel 2024, per salario basso si intendeva un salario inferiore a 4683 franchi lordi al mese per un impiego a tempo pieno. Lo stesso anno, la quota di posti di lavoro a salario basso era del 10,8%, contro il 10,5% del 2022. Va notato che tra il 2008 e il 2024 la quota di posti di lavoro a salario basso in Svizzera è rimasta molto stabile, oscillando tra il 10,2% e l’11,7%. I rami economici che nel 2024 hanno presentato una quota elevata di posti a salario basso erano i seguenti: commercio al dettaglio (24,6%), trasporto aereo (26,3%), ristorazione (47,8%), servizi di alloggio (48,7%) e servizi personali (56,3%). Al contrario, la quota di posti di lavoro a salario basso è stata molto bassa per i servizi bancari (0,6%), le assicurazioni (0,8%) e l’amministrazione pubblica (1,4%). Gran parte delle imprese ha versato una tredicesima Nel 2024 più di tre dipendenti su quattro (75,9%) hanno percepito una 13a mensilità. Tra il 2022 e il 2024 la quota delle imprese che versano una 13a a quasi tutto il loro personale dipendente è leggermente aumentata, passando dal 45,8 al 46,4%. Solo il 27,9% delle imprese non ha versato alcuna tredicesima. Il valore dei bonus è rimasto relativamente stabile rispetto al 2022 Nel 2024, un dipendente su tre (32,6%) ha ricevuto dei bonus, vale a dire pagamenti annuali occasionali in aggiunta al salario di base (contro il 33,6% nel 2022). Il valore monetario di questi bonus, corrisposti nell’arco di un anno, è leggermente aumentato, raggiungendo una media di 11’967 franchi (contro gli 11’670 fr. del 2022). L’importo dei bonus ricevuti varia notevolmente a seconda del livello di responsabilità del posto occupato e del tipo di attività economica svolta. Per esempio, per i quadri superiori il valore monetario dei bonus ha raggiunto una media di 4364 franchi all’anno nell’amministrazione pubblica, di 17’207 franchi nell’industria tessile, di 28’193 franchi nelle costruzioni, di 34’395 franchi nel commercio al dettaglio, di 58’747 franchi nell’informatica, di 92’544 franchi nel commercio all’ingrosso, di 147’796 franchi nel settore bancario e di 151’819 franchi nelle prestazioni di servizi finanziari e assicurativi. Occorre inoltre notare che anche il personale dipendente senza funzione di quadro ha percepito bonus, seppure il valore monetario medio su base annua si sia rivelato molto più basso (4601 fr. contro i 4870 fr. nel 2022.). Zurigo in testa e Ticino in coda Il panorama salariale in Svizzera continua a presentare differenze considerevoli a seconda della regione. Nel 2024 il salario mediano in Svizzera è salito a 7024 franchi lordi al mese, mentre nella regione di Zurigo era di 7502 franchi e in Ticino di 5708 franchi. Per il 10% delle persone che guadagnano di più, il salario lordo è stato di oltre 13’970 franchi nella regione di Zurigo, 12’636 franchi in quella del Lemano, 11’030 franchi nella Svizzera orientale e 10’012 franchi in Ticino. All’altro estremo della scala, cioè per il 10% dei salari più bassi, la dispersione dei salari è stata molto meno marcata tra le Grandi Regioni. I salari sono stati inferiori a 4761 franchi nella regione di Zurigo, a 4585 franchi nella regione del Lemano, a 4563 franchi nella Svizzera orientale e a 3783 franchi in Ticino. Questa gerarchia salariale su base regionale è rimasta relativamente stabile nel tempo. In gran parte si spiega con la concentrazione di rami economici a forte valore aggiunto in determinate aree geografiche, nonché alle specificità strutturali dei mercati regionali del lavoro. I rami economici che nel 2024 hanno presentato una quota elevata di posti a salario basso erano il commercio al dettaglio, il trasporto aereo, la ristorazione, i servizi di alloggio e servizi personali. Al contrario, la quota di posti di lavoro a salario basso è stata molto bassa per i servizi bancari, le assicurazioni e l’amministrazione pubblica La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 13
Ha suscitato sconcerto il documento “National Security Strategy”, pubblicato a inizio dicembre dalla Casa Bianca, che definisce gli obiettivi di sicurezza nazionale dell’amministrazione americana guidata dal presidente Donald Trump per i prossimi anni. La nuova strategia americana per l’Europa di Viviana Pansa re il Paese più forte, ricco, potente e di successo per gli anni a venire”. In particolare, nel paragrafo che descrive cosa potrà garantire la sicurezza degli Stati Uniti nell’immediato futuro, si cita la stabilità dell’emisfero occidentale, che se sarà “sufficientemente ben governato” potrà “prevenire e scoraggiare l’immigrazione di massa verso gli Stati Uniti”. Un tema sempre ribadito dall’attuale presidenza, secondo cui la sicurezza dei confini resta “l’elemento primario della sicurezza nazionale”. Si richiama poi la necessità della cooperazione per la lotta al narcotraffico – incarnata da Trump anche in discutibili raid contro imbarcazioni accusate di trasportare droga attraverso il Mar dei Caraibi – e del sostegno all’economica americana invertendo i possibili danni provocati da attori stranieri, cui si può ricondurre l’introduzione dei dazi e la volontà di mantenere la libertà di navigazione in tutte le rotte marittime cruciali, così da avere catene di approvvigionamento sicure e affidabili e l’accesso a materiali critici. Si dichiara infine esplicitamente la volontà di “impedire che una potenza ostile domini il Medio Oriente”, vincolata a non scalfire gli interessi esistenti su petrolio e gas e alla difesa del loro transito in punti nevralgici, e di “sostenere i nostri alleati nel preservare la libertà e la sicurezza dell’Europa, ripristinando al contempo la fiducia Un testo, lungo 33 pagine, in cui si presenta nero su bianco la “strategia” politica dell’attuale esecutivo statunitense per rendere l’America “di nuovo grande”, così come recita lo slogan grazie a cui Trump ha vinto le ultime elezioni politiche. “Restare il Paese più forte, ricco, potente e di successo” Punto cardine di questa nuova amministrazione sembra essere la volontà di ritirarsi dallo scenario globale per concentrarsi sul fronte interno, o meglio, limitare la propria azione di politica estera alle questioni che più strettamente riguardano o potrebbero avere effetti sul benessere statunitense. Un’intenzione che, a ben vedere, non è semplice da mettere in pratica e che si accompagna alla ridefinizione dell’insieme dei rapporti degli Stati Uniti con il resto del mondo, inclusi quelli con l’Europa e perciò anche il suo impegno nell’Alleanza Atlantica. Il documento parla esplicitamente di un “riadattamento della nostra presenza militare globale per affrontare le minacce urgenti nel nostro emisfero, allontanandola da teatri la cui importanza relativa per la sicurezza nazionale americana è diminuita negli ultimi decenni o anni”. In questo modo, secondo il presidente Trump, l’America si assicurerà di “restaLa Rivista Europee La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 14
nella propria civiltà e l’identità occidentale dell’Europa”. Nell’Unione europea a rischio la libertà di parola e la sovranità degli Stati A questi temi, in particolare, è dedicato il paragrafo intitolato “Promuovere la grandezza dell’Europa” e in cui l’analisi dei problemi del vecchio continente non si limita a richiamare la stagnazione economica e l’ammontare della spesa militare definita “insufficiente”, ma si inoltra nella stigmatizzazione di debolezze giudicate ancora più profonde. “L’Europa continentale ha perso quote del PIL globale, passando dal 25% nel 1990 al 14% di oggi, in parte a causa delle normative nazionali e transnazionali che minano la creatività e l’operosità. Ma questo declino economico è eclissato dalla prospettiva reale e più grave della scomparsa della civiltà – si legge nel documento, secondo cui sarebbero proprio le politiche dell’Unione Europea a minare la libertà politica e la sovranità degli Stati, mentre “le politiche migratorie stanno trasformando il continente e creando conflitti”. A ciò si aggiungono il crollo dei tassi di natalità, la “perdita delle identità nazionali”, la “censura della libertà di parola” e la “repressione dell’opposizione politica” che rischiano di rendere il continente “irriconoscibile tra 20 anni o meno” e alcuni dei suoi Paesi così deboli da non potersi più considerare affidabili. Per l’attuale amministrazione americana, dunque, sarebbe l’Unione con la sua “soffocante regolamentazione” una delle cause dell’indebolimento dell’identità europea, crisi che il conflitto tra Russia e Ucraina rischia di rendere irreversibile e che, per sostenere la stabilità dell’area, ora gli Stati Uniti si impegnano a risolvere attraverso “un significativo impegno diplomatico”. Giudicano infatti nel loro interesse “fondamentale” “negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione involontaria della guerra e ristabilire la stabilità strategica” dei rapporti dell’Europa con la Russia, così come “consentire la ricostruzione postbellica dell’Ucraina per garantirne la sopravvivenza come Stato vitale”. Questo sarebbe il motivo dell’accelerazione dei negoziati per la fine del conflitto in corso da settimane tra gli Usa, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e quello russo Vladimir Putin, a partire dal piano in 28 punti preparato dall’inviato speciale americano Steve Witkoff e da Kirill Dmitriev, amministratore del Fondo per gli investimenti diretti russi. Un piano che, così come è stato concepito, taglia fuori l’Unione Europea, riconosce, almeno a parole, la sovranità dell’Ucraina e destina una parte dei fondi russi congelati negli istituti di Belgio e Lussemburgo ad una ricostruzione guidata degli Stati Uniti, a cui andrebbe anche il 50% dei profitti. “Aiutare l’Europa a correggere la sua attuale traiettoria” Per l’amministrazione Usa le riserve dell’Unione su questo piano sarebbero riconducibili alle “aspettative irrealistiche” nutrite dai funzionari europei sulla guerra, “appoggiati da governi di minoranza instabili, molti dei quali calpestano i principi fondamentali della democrazia per reprimere l’opposizione – recita ancora il documento. In definitiva, dunque, l’obiettivo americano sarebbe quello di “aiutare l’Europa a correggere la sua attuale traiettoria”, considerata l’importanza dei rapporti commerciali tra i due continenti, incoraggiando i suoi alleati politici – i “partiti patriottici europei” - a “promuovere la rinascita dello spirito” del vecchio Ha suscitato sconcerto il documento “National Security Strategy”, pubblicato a inizio dicembre dalla Casa Bianca La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 15
continente e coltivando “la resistenza” alla direzione intrapresa dall’UE “all’interno delle nazioni europee”. Oltre a ristabilire condizioni di stabilità interne, la politica statunitense si dice infine orientata a promuovere l’azione indipendente dell’Europa, anche attraverso l’assunzione di responsabilità primaria, da parte di quest’ultima, della propria difesa. “Gli Stati Uniti non possono sostituirsi ai cittadini europei” Se, dunque, in fase iniziale il documento citava esplicitamente la dottrina Monroe del 1823 quale riferimento per l’attuale strategia nazionale, sembra che il “corollario Trump” abbia dimenticato, nelle dichiarazioni riportate di seguito, la parte del non intervento negli affari europei. E nei giorni successivi alla sua pubblicazione, quando per alcuni è mancata una replica diretta e incisiva da parte della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, - mentre l’alto rappresentante per gli affari esteri Kaja Kallas si limitava a ribadire l’importanza dell’alleanza tra Usa ed Europa, - è stato il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa a definire “inaccettabili” le minacce di interferenza nella politica europea degli Stati Uniti. “Gli Stati Uniti non possono sostituirsi ai cittadini europei nella scelta di quali partiti sono buoni e quali cattivi – ha ribadito Costa, aggiungendo di comprendere perché la nuova strategia di sicurezza nazionale degli Usa sia risultata così gradita alla Russia: non solo – ha chiarito - per la posizione espressa sull’Europa, ma anche per il fatto che non menziona mai la necessità di arrivare ad una pace “giusta e duratura” tra Mosca e Kiev, ma solo quella di porre fine alle ostilità. “Quando si tratta di decisioni che riguardano la Ue, queste vengono prese dalla Ue e per la Ue. Comprese quelle che riguardano la nostra autonomia normativa, la tutela della libertà di espressione e l’ordine internazionale fondato sulle regole – ha riferito invece un portavoce della Commissione UE. “Accogliamo con favore la forte priorità attribuita dalla strategia alla fine della guerra della Russia contro l’Ucraina – prosegue il commento, che ribadisce come Europa e Stati Uniti condividano tuttavia “la responsabilità di sostenere una pace giusta e duratura”. Ricorda inoltre che l’Europa sta aumentando massicciamente gli investimenti nella difesa sia per migliorare la propria sicurezza che per continuare a dare un contributo decisivo alla NATO. Per non diventare residuali e irrilevanti È mancata univocità nella reazione registrata al documento degli esponenti della maggioranza al governo in Italia, con la premier Giorgia Meloni che ha ribadito come da tempo sia necessario che l’Unione pensi alla sua sicurezza, al di là della posizione ora espressa in questa strategia. “La traiettoria della politica americana era evidente già prima dell’avvento di Trump che ha soltanto accelerato un percorso irreversibile – ha sottolineato anche il ministro delle Difesa Guido Crosetto, sottolineando come l’asse della competizione americana si sia spostato ora in direzione della Cina, versante per cui l’Unione non gli torna utile perché manca di risorse naturali, in perdita nella competizione su innovazione e tecnologia, “piccola, lenta e vecchia”. Per il ministro degli Esteri Antonio Tajani invece, le dichiarazioni di Trump devono diventare un’occasione di profondo cambiamento da parte dell’Unione, perché così come è oggi strutturata, non può reggere al confronto con altre potenze. Per Tajani, l’UE può risollevarsi e tornare protagonista, ridimensionando la dimensione burocratica e rilanciando quella politica, di matrice unitaria. A ciò devono contribuire tutti gli Stati membri, per cui l’isolamento si rivelerebbe controproducente, in particolare per l’Italia. “Dei 623 miliardi di export delle nostre aziende, oltre 200 sono verso paesi europei. Isolarsi, dire no all’Europa – conclude Tajani, - ci farebbe diventare residuali e irrilevanti”. La Rivista Europee Gli Stati Uniti non possono sostituirsi ai cittadini europei nella scelta di quali partiti sono buoni e quali cattivi La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 16
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