nella propria civiltà e l’identità occidentale dell’Europa”. Nell’Unione europea a rischio la libertà di parola e la sovranità degli Stati A questi temi, in particolare, è dedicato il paragrafo intitolato “Promuovere la grandezza dell’Europa” e in cui l’analisi dei problemi del vecchio continente non si limita a richiamare la stagnazione economica e l’ammontare della spesa militare definita “insufficiente”, ma si inoltra nella stigmatizzazione di debolezze giudicate ancora più profonde. “L’Europa continentale ha perso quote del PIL globale, passando dal 25% nel 1990 al 14% di oggi, in parte a causa delle normative nazionali e transnazionali che minano la creatività e l’operosità. Ma questo declino economico è eclissato dalla prospettiva reale e più grave della scomparsa della civiltà – si legge nel documento, secondo cui sarebbero proprio le politiche dell’Unione Europea a minare la libertà politica e la sovranità degli Stati, mentre “le politiche migratorie stanno trasformando il continente e creando conflitti”. A ciò si aggiungono il crollo dei tassi di natalità, la “perdita delle identità nazionali”, la “censura della libertà di parola” e la “repressione dell’opposizione politica” che rischiano di rendere il continente “irriconoscibile tra 20 anni o meno” e alcuni dei suoi Paesi così deboli da non potersi più considerare affidabili. Per l’attuale amministrazione americana, dunque, sarebbe l’Unione con la sua “soffocante regolamentazione” una delle cause dell’indebolimento dell’identità europea, crisi che il conflitto tra Russia e Ucraina rischia di rendere irreversibile e che, per sostenere la stabilità dell’area, ora gli Stati Uniti si impegnano a risolvere attraverso “un significativo impegno diplomatico”. Giudicano infatti nel loro interesse “fondamentale” “negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione involontaria della guerra e ristabilire la stabilità strategica” dei rapporti dell’Europa con la Russia, così come “consentire la ricostruzione postbellica dell’Ucraina per garantirne la sopravvivenza come Stato vitale”. Questo sarebbe il motivo dell’accelerazione dei negoziati per la fine del conflitto in corso da settimane tra gli Usa, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e quello russo Vladimir Putin, a partire dal piano in 28 punti preparato dall’inviato speciale americano Steve Witkoff e da Kirill Dmitriev, amministratore del Fondo per gli investimenti diretti russi. Un piano che, così come è stato concepito, taglia fuori l’Unione Europea, riconosce, almeno a parole, la sovranità dell’Ucraina e destina una parte dei fondi russi congelati negli istituti di Belgio e Lussemburgo ad una ricostruzione guidata degli Stati Uniti, a cui andrebbe anche il 50% dei profitti. “Aiutare l’Europa a correggere la sua attuale traiettoria” Per l’amministrazione Usa le riserve dell’Unione su questo piano sarebbero riconducibili alle “aspettative irrealistiche” nutrite dai funzionari europei sulla guerra, “appoggiati da governi di minoranza instabili, molti dei quali calpestano i principi fondamentali della democrazia per reprimere l’opposizione – recita ancora il documento. In definitiva, dunque, l’obiettivo americano sarebbe quello di “aiutare l’Europa a correggere la sua attuale traiettoria”, considerata l’importanza dei rapporti commerciali tra i due continenti, incoraggiando i suoi alleati politici – i “partiti patriottici europei” - a “promuovere la rinascita dello spirito” del vecchio Ha suscitato sconcerto il documento “National Security Strategy”, pubblicato a inizio dicembre dalla Casa Bianca La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 15
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