La Rivista

Il risultato è stato un indebolimento delle relazioni tra Stati Uniti e Africa, un aumento dell’incertezza e maggiori opportunità per potenze rivali di plasmare le traiettorie politiche ed economiche africane. America Latina Un andamento simile è emerso in America Latina, dove il motto “America First” si è manifestato in modo evidente nelle politiche su immigrazione, commercio e sicurezza. L’amministrazione ha adottato una posizione inflessibile sull’immigrazione, ampliando le deportazioni e investendo pesantemente nella sicurezza del confine, generando tensioni con Messico e Stati centroamericani, i cui governi sono stati spinti a collaborare per evitare ripercussioni economiche. Parallelamente, i dazi sulle esportazioni latinoamericane hanno acuito le tensioni, mostrando però la disponibilità di Washington a imporre costi significativi per perseguire i propri obiettivi. Dal punto di vista diplomatico, gli Stati Uniti hanno favorito leader ideologicamente affini, come il presidente argentino Javier Milei, privilegiando alleanze transazionali rispetto ai tradizionali forum multilaterali. In tema di sicurezza, la designazione dei cartelli della droga messicani come organizzazioni terroristiche ha segnato una svolta verso misure più drastiche, accompagnate dalla richiesta di una maggiore cooperazione di polizia. Nel complesso, questo approccio ha disturbato le alleanze regionali consolidate, aprendo spazi per la Cina e la Russia, pronte a rafforzare la loro presenza offrendo alternative economiche e diplomatiche al vuoto lasciato dalla strategia statunitense più coercitiva. Considerazioni finali Pur avendo ottenuto qualche successo tattico — sebbene molto limitato — gli effetti sistemici dell’approccio di Trump includono la frammentazione delle alleanze, l’indebolimento delle istituzioni, l’accelerazione delle contro-coalizioni e un crescente disincanto verso il ruolo diplomatico della potenza americana in Medio Oriente, un ruolo mantenuto a lungo grazie soprattutto ai programmi di USAID. Trump aveva ragione nel definire USAID come una forma di “nuovo colonialismo americano”; tuttavia, i suoi programmi hanno contribuito enormemente al soft power e al vantaggio diplomatico degli Stati Uniti in aree cruciali come il Medio Oriente e il Sud-Est asiatico. Questo soft power si è sgretolato quando, nel marzo 2025, l’80% dei programmi è stato chiuso e, il 1° luglio, USAID è stata ufficialmente assorbita dal Dipartimento di Stato. La dottrina, con il suo accento sulle trattative bilaterali a discapito della cooperazione multilaterale e la sua visione transazionale delle alleanze, rappresenta un ritorno alla politica di equilibrio di potenza che caratterizzava l’era pre-Seconda guerra mondiale. Resta da capire se ciò rappresenti un adeguamento efficace ai mutamenti del sistema internazionale o un abbandono pericoloso di strategie comprovate. Le politiche trumpiane di pace attraverso la forza si sono rivelate rischiose sia per gli alleati sia per gli interessi statunitensi in regioni chiave come l’Europa e il Medio Oriente, almeno nel breve termine. La reazione globale rivela un mondo sempre più disposto ad andare oltre la leadership americana, con numerosi Paesi impegnati nella costruzione di partnership e strutture di potere alternative. Questo mutamento fondamentale nelle aspettative globali sul comportamento degli Stati Uniti potrebbe rivelarsi la conseguenza più duratura della politica estera di Trump basata sulla pace attraverso la forza. *rubrica a cura del Geopolitics Network Group Dal punto di vista diplomatico, gli Stati Uniti hanno favorito leader ideologicamente affini, come il presidente argentino Javier Milei, privilegiando alleanze transazionali rispetto ai tradizionali forum multilaterali La Rivista Geopolitiche* La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 19

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