Giangi Cretti Direttore gcretti@ccis.ch La Rivista Editoriale sempre ad avviso di Cassis, che la Conferenza dell’Italofonia rappresenti un passo concreto verso una rete globale di scambio e tutela della lingua italiana, evidenziando quanto l’Italia e la Svizzera possano collaborare nella valorizzazione della nostra lingua, considerando l’italianità come un ponte tra culture, economie e tradizioni europee. Che la Conferenza sia sfociata nella creazione della Comunità dell’Italofonia, non fa altro che accrescere il valore di tutte le affermazioni che si sono rincorse in quell’occasione. Perché, così negli intenti esplicitati, la Comunità si pone un obiettivo di fondo: rispondere alla sempre crescente domanda di Italia che c'è nel mondo. Dalla musica al design, dall'arte alla letteratura, dalla scienza all'industria, dal turismo alla moda... È una domanda che si declina in tante lingue, ma che riassume la sua essenza nella lingua italiana. Insensato dubitare sulla buona fede e degli altrettanto buoni propositi di coloro che autorevolmente hanno sottoscritto la dichiarazione Istitutiva della Comunità dell’italofonia, assegnando alla lingua italiana il rango privilegiato di "lingua di pace, dialogo, creatività e scambio", evidenziandone il ruolo storico come "lingua di bellezza, cultura e scienza", attestandone il contributo inestimabile al patrimonio mondiale. Una lingua che, coniugando tradizione e innovazione, si fa portavoce "del saper fare d'eccellenza legato alle radici e di una contemporaneità proiettata verso il futuro", perché “la comunità dell'italofonia sarà un punto permanente di incontro". Impossibile dissociarsi, talmente coinvolgente e avvolgente è la sintonia che promana da questa sinfonia di melodiose intenzioni. Così sigillate da Meloni: “oggi firmiamo una dichiarazione comune fatta di impegni concreti e iniziative operative, gettiamo le fondamenta di una nuova comunità da costruire e da alimentare insieme. Lo faremo potendo contare prima di tutto sull'energia, la passione, il senso di appartenenza degli italiani all'estero, che da sempre rappresentano gli ambasciatori nel mondo dell'amore per la nostra patria, la nostra lingua, la nostra cultura. Perché la lingua italiana è un film, in cui ogni parola è una scena e ogni frase un capolavoro”. Musica per le mie orecchie e mi auguro per quelle di molti altri. Se tutto ciò è vero, perché vere sono le parole che hanno dato forma ad un rosario di buone, anzi ottime, intenzioni, il titolo della nostra copertina può apparire un azzardo. Di prim’acchito, persino un paradosso. In realtà, più che un pericolo incipiente esprime una preoccupazione. Che tutto questo diluvio di travolgente entusiasmo nasconda l’impalpabilità di azioni concrete. Non ho elementi certi per contestare, va da sé, molto sommessamente, l’affermazione che "fuori dai confini nazionali, l'italiano sia parlato da oltre 80 milioni di persone e si confermi una delle lingue più studiate al mondo grazie al prezioso lavoro di promozione che portano avanti gli Istituti di cultura e le scuole all'estero". Fatico però a bypassare il dubbio, alimentato dall’osservazione empirica sul campo: non sul lavoro degli istituti e delle scuole, quanto sull’affermazione in sé, che ampiamente si giustifica solamente in quanto figlia di una nobile aspirazione o dell’ottimismo della volontà, propedeutico a puntellare un ambizioso obiettivo. Tant’è, ma se penso all’erosione – di risorse, ma non solo - che all’estero, Circolare dopo Circolare, ormai da decenni subiscono quelli che siamo soliti chiamare i corsi di lingua e cultura, mi costringo a sperare che la Conferenza altro non sia che un punto di svolta. Stessa speranza e stesso sconforto di fondo li provo se considero l’offerta, sulla carta resa obbligatoria da un’ordinanza federale, dell’insegnamento dell’italiano in Svizzera nella scuola pubblica nei Cantoni a nord del Gottardo, dove non è lingua madre. Irritazione invece è ciò che prende corpo verificando la sudditanza manifesta nei confronti dell’inglese - la cui ostentazione pare sintomo di modernità ed efficienza - in particolare fra gli italoparlanti, in quei contesti fuori dai confini nazionali, ma non solo, in cui l’italofonia, anziché un valore aggiunto, perché a connotazione identitaria positiva, sembra vissuta come una penalizzazione. Non bastassero queste pennellate appena accennate di vissuto ordinario, a cui in fondo siamo abituati perché colorano le nostre stanze di vita quotidiana, all’orizzonte si profila minaccioso, e qui la preoccupazione lascia il posto al pericolo, l’esito di una votazione che il prossimo 8 marzo vedrà i cittadini svizzeri esprimersi sulla riduzione del canone radiotelevisivo. Una questione di portafoglio, si dirà. E come tale non accende nessun amletico dilemma. Eppure, l’eventuale accettazione di quella riduzione potrebbe avere serie conseguenze: anche per l’italofonia. In Svizzera naturalmente. E malconcia ne uscirebbe anche l’italianità. In un articolo nelle pagine 27-28-29, cerchiamo di spiegare perché. Il messaggio è forte e chiaro. Merita, convintamente, di essere condiviso o quanto meno rilanciato: la promozione della lingua e della cultura italiana all'estero è un investimento strategico non meno importante della promozione della nostra offerta economica o industriale. Parole impegnative. Che presumono una coraggiosa assunzione di responsabilità, soprattutto perché pronunciate dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, intervenendo, in videomessaggio, alla prima Conferenza sull'Italofonia, svoltasi a Roma lo scorso 18 novembre. Un appuntamento fortemente voluto dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che, aprendone i lavori, ha detto che “oggi teniamo a battesimo la nascita di una comunità che è internazionale, composta da tutti coloro che parlano, che amano, che conoscono e che vogliono studiare la lingua italiana”. Mi lego felicemente a questa schiera. Anche per tale ragione, in linea di principio, mi riconosco con espresso piacere, nelle parole di Andrea Riccardi, presidente della Società Dante Alighieri, quando afferma: “la diffusione dell’italiano va oltre i confini geografici della penisola, e ha una profondità che attira anche coloro che non hanno legami storici con l’Italia: si tratta piuttosto di un tessuto di persone che scelgono la nostra lingua perché vi si trovano a loro agio, come in uno spazio di bellezza e di creatività. Se è vero che l’italiano ha alle spalle radici forti, belle e meditate, sarebbe tuttavia un errore circoscriverlo al passato, e considerarlo solo un museo da ammirare. Siamo stati uniti non da un burocrate, ma da uno scrittore come Alessandro Manzoni, che ha fatto del suo capolavoro la Bibbia del nuovo italiano”. Per esperienza di vita, e sempre in linea di principio, mi confortano anche le dichiarazioni del Consigliere federale Ignazio Cassis, presente alla Conferenza, secondo il quale, la lingua italiana non è solo patrimonio culturale, ma anche elemento identitario e politico per l’Europa. Nel caso specifico, per la Svizzera, l’italiano è un pilastro della sua struttura statale, capace di rafforzare legami culturali e identitari sia a livello nazionale sia internazionale. Ne deriva,
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