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grandi del Nord, perché non è riuscita a compensare con gli afflussi netti dall’interno quelli verso il resto del mondo. 196mila è invece il numero record di giovani che hanno lasciato, per altre regioni o per l’estero, la Campania, seguito dai 163mila della Sicilia e dai 130mila della Puglia. Serve un salto qualitativo per una nuova fase di sviluppo Il focus sui flussi migratori di giovani tra l’Italia e gli altri Paesi avanzati realizzato dal CNEL nasce da due domande di fondo: tali flussi sono parte della normale circolarità dei movimenti esistenti tra tali Paesi? Quali fattori spingono e attraggono i giovani? Le risposte che emergono dal Rapporto sono le seguenti: l’Italia non partecipa alla circolarità dei movimenti, perché è fornitrice di giovani e non ricettrice; i fattori sono molto diversi a seconda delle condizioni dei luoghi di partenza e dei luoghi di arrivo e del divario tra tali condizioni, per cui un conto sono le differenze tra l’Italia e gli altri Paesi avanzati, un altro conto sono quelle tra l’Italia e i Paesi molto più poveri per reddito e struttura economica, oltre che per istituzioni democratiche e legali. L’Italia può e deve aspirare a chiudere il primo tipo di differenze, per fare quel salto qualitativo che le permetterebbe una nuova fase di sviluppo. L’Italia, come tutti i Paesi avanzati, da un lato è destinataria di copiosi arrivi di persone originarie di Paesi economicamente e istituzionalmente più poveri, che cercano migliori opportunità di lavoro e di vita; dall’altro lato, ogni anno partono dal nostro Paese decine di migliaia di giovani cittadini italiani, diretti verso altri Paesi avanzati, senza che da questi contemporaneamente arrivino altrettanti giovani. È quest’ultimo aspetto che ci distingue in negativo. In definitiva, l’Italia è inserita nelle correnti delle migrazioni internazionali, ma la loro disaggregazione consegna uno spaccato meno rassicurante, di scarsa attrattività nei confronti dei giovani cittadini dei Paesi avanzati. La parola ai giovani: tre sondaggi Il Rapporto riporta, infine, i risultati di tre sondaggi di opinione tra vari insiemi di giovani, nel segno di ascoltare la loro voce, solo vero modo per comprenderne motivazioni, disagi, percezioni, aspirazioni. Le statistiche fotografano la realtà della nuova emigrazione italiana nelle sue diverse sfaccettature, ma poco riescono a dire sui fattori che la plasmano, ossia le motivazioni, gli incentivi, le valutazioni, le condizioni di chi sceglie di emigrare. Fattori che è fondamentale conoscere per agire con politiche, pubbliche e private, indirizzate e migliorare l’attrattività dell’Italia per i giovani. L’unico modo per conoscerli è intervistare i diretti interessati, ossia i giovani stessi, con sondaggi demoscopici, che sono quindi indispensabili non meno delle analisi dei dati. Nel Rapporto CNEL ce ne sono tre, molto diversi tra di loro per metodologia, soggetti intervistati e tipologia di domande. Da tutti, comunque, arriva lo stesso messaggio di bassa attrattività dell’Italia. Il primo sondaggio è stato condotto tra i giovani in Italia, Spagna, Francia, Germania e Regno Unito riguardo al desiderio/spinta di andare all’estero (molto più elevata in Italia) e all’attrattività dell’Italia rispetto al proprio Paese (decisamente bassa ovunque, soprattutto tra i giovani tedeschi). Il sondaggio conferma che i giovani italiani mettono sì al primo posto le migliori opportunità lavorative come motivazione per andare via, ma non molto sopra la maggiore efficienza dei sistemi pubblici, il riconoscimento dei diritti civili e la superiore qualità della vita, e per queste risposte sono simili agli spagnoli, tranne che per la percezione del rispetto dei diritti civili. Il secondo sondaggio è stato svolto presso un sottoinsieme molto specifico, ma ugualmente interessante, di giovani italiani: quelli dei Collegi di Merito, ossia persone che per merito e condizioni economiche sono state aiutate negli studi universitari. Solo un terzo di esse vive in Italia, gli altri sono emigrati, confermando la maggiore propensione a emigrare tra chi ha ottenuto titoli di studio più elevati. Tra le loro valutazioni e motivazioni spiccano la deficienza di meritocrazia in Italia, l’insoddisfazione per le esperienze lavorative italiane, la ricerca di opportunità di carriera migliori più che di superiore retribuzione, mentre chi ha deciso di restare o di tornare in Italia è stato guidato da motivi personali-affettivi. Infine, la superiore attrattività del lavoro all’estero dipende certamente dalla remunerazione (meritocraticamente determinata), tuttavia molto contano la libertà di scegliere il metodo di lavoro, l’orario, le condizioni fisiche dei luoghi lavoro, la relazione con il management, la governance dell’impresa e l’ascolto dei suggerimenti avanzati. La Rivista Società La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 35

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