La Rivista

La storia, molto triste, di Narciso Il mito di Narciso è in fondo una possente metafora psicologica delle latenti tragiche conseguenze della vanità e della superbia umane che rendono incapaci di amare altri che sé stessi. Non stupisce che la denominazione di narcisismo sia stata attribuita a uno dei disturbi della personalità più frequentemente osservati nella società odierna in un gran numero di soggetti grandi e piccini: il bisogno spasmodico di essere costantemente al centro di ammirate attenzioni e la tendenza ad assumere atteggiamenti megalomani caratterizzati da una sovrastima delle proprie qualità e da una corrispondente sottostima di quelle altrui. Cosa racconta in sintesi tale mito? Inizio dalla parte più conosciuta del mito quella conclusiva, nella quale si racconta del fatale turbamento di Narciso, bellissimo e superbo giovinetto, nel vedere riflessa nelle acque limpide di una fonte l’immagine inaccessibile del suo essere. Egli se ne innamora perdutamente e più volte fa ritorno a tale ameno luogo per ammirare l’ammaliante e trasparente figura. Ma ogni volta che tenta di toccarla, la superficie dell’acqua si increspa e l’immagine sparisce. Narciso ripete fino allo sfinimento i suoi vani tentativi e muore consumato dal folle innamoramento del riflesso di sé stesso. Come era stato predetto alla sua nascita dall’indovino Tiresia. Il suo corpo viene allora trasformato in fiore dai colori bianco-giallo e dall’intenso profumo, che porterà per sempre il suo nome. Ma perché una fine così tragica? Vale la pena di citare gli antefatti. Eccoli nella versione ispirata a quanto narrato da Ovidio nelle Metamorfosi e ripreso ai giorni nostri da Luciano De Crescenzo nella sua opera dedicata ai grandi miti greci. La storia di Narciso è legata a quella della leggiadra e in origine assai loquace ninfa dei monti, Eco. Creatura doppiamente sfortunata. La sua prima sfortuna fu di essere crudelmente punita dalla dea Giunone per averla distratta con i suoi pettegolezzi mentre il suo olimpico consorte, Giove, se la spassava con qualche sua amante. La punizione fu orribile per una chiacchierona come lei, poiché Giunone le tolse l’uso della parola lasciandole solo la possibilità di ripetere le ultime sillabe percepite dalle sue orecchie. La seconda sfortuna fu di innamorarsi perdutamente del bellissimo Narciso, malgrado la sua fama di ragazzo socialmente apatico e insensibile, come si direbbe oggi. Povera Eco! Il suo amore fu tragicamente infelice! Niente lieto fine! Alle sue monche invocazioni Narciso rispose solo con sdegno e fastidio. Ma povero anche Narciso visto che la sua vita fu prematuramente troncata dalla vendetta della dea Nemesi nei confronti di siffatto crudele e vanitoso giovane uomo capace di amare soltanto sé stesso: secondo i versi di Ovidio “Egli reclinò il capo esausto sull’erba e la morte chiuse quegli occhi che ancora ammiravano la bellezza del loro padrone”. Il narcisismo come disturbo della personalità Nei manuali diagnostici moderni i Narcisi umani che popolano le Il mito di Narciso è in fondo una possente metafora psicologica delle latenti tragiche conseguenze della vanità e della superbia umane che rendono incapaci di amare altri che sé stessi La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 37

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