In un certo senso mi considero una manifestazione di questa storia. Da ragazzo ho imparato l’italiano a più di diecimila chilometri da qui, in Argentina. Non sono un’eccezione. Due terzi degli argentini hanno origini italiane. Quando la mia famiglia emigrò per la prima volta dal Piemonte, alla fine del XIX secolo, una persona su quattro nella mia città natale, Buenos Aires, era nata in Italia. Non ho imparato l’italiano a scuola. L’ho imparato a casa. All’epoca non riuscivo nemmeno a concepire cosa fosse un oceano, figuriamoci cosa significassero diecimila chilometri. Uno dei primi libri italiani che lessi fu Cuore di Edmondo De Amicis. Potrà sembrare oggi eccessivamente romantico, ma quando ero bambino il racconto Dagli Appennini alle Ande mi colpì profondamente. Raccontava di un ragazzo di 12 anni che lascia l’Italia per cercare sua madre in Argentina. In un certo senso era la storia di milioni di persone — uomini e donne che attraversarono i mari non con le armi ma con la speranza, il lavoro e la fede. È la storia di una ricerca fondamentale, la ricerca delle proprie origini. Nel mio ruolo di direttore generale di un’organizzazione incentrata sulla scienza e sulla tecnologia, voglio ricordare che l’Italia ha lasciato un segno internazionale anche attraverso il linguaggio della scienza. Leonardo da Vinci diede voce a una curiosità intellettuale senza confini attraverso il linguaggio dell’arte e dell’osservazione, e Galileo Galilei scelse di scrivere il suo Dialogo in italiano, anziché in latino, per rendere i contenuti scientifici più accessibili. Al servizio del progresso e non uno strumento di conflitto Più direttamente, nell’ambito in cui opero come direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) la storia di Enrico Fermi e dei “ragazzi di via Panisperna” è affascinante. Sto parlando dello sviluppo delle basi dell’energia nucleare. Non è semplicemente una storia di scoperte brillanti, è anche un richiamo alla responsabilità morale che accompagna il progresso scientifico — una responsabilità che l’Aiea continua a sostenere oggi. In quel gruppo straordinario spicca Edoardo Amaldi, il fisico che, dopo la guerra, dedicò la propria vita a far sì che la conoscenza dell’atomo fosse al servizio del progresso e non uno strumento di conflitto. Amaldi ebbe un ruolo decisivo nella ricostruzione della fisica nucleare italiana del dopoguerra e nella promozione della collaborazione scientifica europea. Contribuì a istituire sia l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) sia l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare, il Cern, istituzioni che ancora oggi riuniscono scienziati da tutto il mondo nella ricerca del progresso. Definire la Comunità dell’Italofonia come una celebrazione del patrimonio linguistico è corretto ma c’è di più. Attraverso la Comunità dell’Italofonia possiamo rafforzare il legame tra gli italiani che vivono in ogni continente e con coloro che condividono con il resto del mondo i valori, i tesori e i progressi dell’Italia. Lo scrittore anglo-americano Henry James descrisse l’italiano come «un coro di angeli che cantano insieme». Gli angeli non cantano soltanto in modo sublime, cantano di speranza e di pace. Di fronte a un mondo fratturato, in cui persino il futuro del multilateralismo e delle Nazioni Unite è messo in discussione, iniziative come la Comunità dell’Italofonia sono particolarmente opportune. Dimostrano che il multilateralismo e la diplomazia operano a molti livelli. Attraverso la promozione della lingua italiana questa iniziativa trasmette la ricchezza culturale dell’Italia e promuove il senso di umanità che ci unisce. È per me un onore potermi definire parte di questa comunità così speciale. *Agenzia internazionale per l’energia atomica La Rivista · Ottobre - Dicembre 2025 45
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